Antica Torre Tornabuoni è una grande famiglia “allargata”, dove ci sono molti, molti figli, tutti amati per le loro qualità e anche per i loro difetti (perché in una famiglia ci si vuole sempre bene, vero?).
E una qualcuno di speciale, ma veramente speciale, festeggia 90 anni il 6 Marzo. E che vita! Maria Grazia Cecchi ha molte storie da raccontare. A quindici anni, a causa della guerra, andò a Torino per aiutare i feriti e i bisognosi. Più tardi, ha incontrato le monache del convento dove ha vissuto per 39 anni. E più tardi, nel 1983/1984, ha iniziato la sua storia a Firenze insieme all’Antica Torre Tornabuoni, dove ha trovato non solo una casa, ma una famiglia per la quale nutre un immenso amore.
Un amore che è reciproco, così come l’ammirazione che tutti hanno per la signora Maria, che ci ha regalato questa bellissima intervista.
Puoi parlarci un po’ della tua storia d’amore con l’Antica Torre?
L’amore per la Torre io l’ho sempre avuto e mi dispiace che sono via, ho 90 anni, ho male ai piedi, ma il cuore è rimasto qui. Sono arrivata da più di 30 anni, ero qui per assistere la proprietaria del Palazzo. L’Antica Torre è iniziata da un’idea di fare un albergo, avendo queste due terrazze bellissime. Il primo caffè l’abbiamo fatto con la moca, e piano piano poi la Torre è cresciuta.
E com’è stato il suo rapporto con la Torre in tutti questi anni?
Il migliore tempo che ho passato nella mia vita l’ho passato qui, perché questo qui è un ambiente bellino, sereno, e tutti mi vogliono bene e io voglio bene a loro, dai dipendenti agli sopiti, insomma a tutti. Veramente, siamo come una famiglia. Anche le famiglie hanno le difficoltà, ma sono superabili.
Io le dico una cosa sola, quando io sono via e sono un po’ malinconica, perché la vecchiaia porta la malinconia, no la depressione ma un po’ d’angoscia porta, io devo venir qui per prendere l’ossigeno. È un posto che mi fa bene. Non avrei altri posti, non ho fatto famiglia, non mi sono sposata. Ho i miei nipoti, ma se devo prendere l’ossigeno devo venire all’Antica Torre. È un’affezione.
E prima di venire a Firenze, qual è stata la sua vita?
Io sono andata a Torino nel tempo di guerra e ho lavorato all’Ospedale Maria Vittoria, sono andata giovanissima, a quindici o sedici anni. Poi ho conosciuto le suore del Cottolengo, le quali mi hanno dato non solo fiducia. Sono stata li tanto, 39 anni.
Tutta una vita dedicata a dio…
Posso dire che nonostante sia una casa di sofferenza, mi hanno dato più loro di quanto io abbia dato a loro. I malati, di tutte le qualità, che siano malati di testa o di altre cose, veramente ci danno più loro che noi.
Ma Lei era giovanissima!
Nei tempi della guerra si stava male, si pativa anche la fame, poi io mi sono trovata bene e sono rimasta la, finché a un punto, come tutte le persone che vanno in crisi, l’ho avuto anch’io la crisi, nonostante mantenendo sempre la mia fede specialmente nella divina provvidenza. Là giù c’è scritto Piccola Casa della Divina Provvidenza.
Poi a un certo punto, come con tutte le cose, sia nella famiglia come in tutti i posti, viene un dubbio, scatta quel sentimento di dire: voglio provare a cambiare. Però le posso dire una cosa? Non sempre dobbiamo assecondare queste cose. Non sempre. A me è andata bene, ho trovato un’altra famiglia che è in tutti i sensi buona, però, ripensando, io potevo combattere questa crisi e cercare di vincerla e restare.
E lei aveva quanti anni a questo punto?
Io mi sono venuta via nell’83 o 84.
Ma i dubbi erano riguardo a che cosa?
Ci sono anche dubbi sulla fede. Per il fatto di convivenza io non ho trovato la difficoltà. Ci sono dei dubbi di fede, alle volte anche il cattivo esempio fa molto male. Il cattivo esempio influisce su una persona che delle volte è un po’ sensibile e si doamnda: “ma cosa sto facendo qui?”.
Meno male che è andata bene e Lei ha trovato una famiglia in Torre…
Si, ho trovato questa famiglia, sono stata fortunata davvero. Ho trovato tutto qui dentro.
Lei celebra i suoi 90 anni il 6 Marzo. Cosa aspetta per i prossimi anni?
Io nei prossimi anni chiedo solo a Dio di darmi tanta pace, tanta serenità. Io sono molto tranquilla e serena. Speriamo che il signore mi dia ancora la forza di stare tranquilla e di non accasciarmi su me stessa, di reagire. Io quando mi sento un po’ così, invece che stare a piangermi addosso, vengo qui e vado in cucina a far qualcosa.
E c’è ancora qualcosa che Lei non abbia fatto e che vuol ancora fare? Manca qualcosa nella sua vitta?
No. Io penso che ero contenta dove stavo a Torino, sono contenta dove sono qui, quindi i rimpianti non ce l’ho. Non ho voluto fare molte cose, è bello stare come siamo, volersi bene, rispettarsi, questa è l’unica cosa che se può fare bene. Non ho mai desiderato nulla, solo di avere tanta pace intorno a me, un po’ di serenità e basta.
Una vita felice…
Io ho avuto una vita felice. Però questa vita felice non ci viene così e via. Bisogna conquistarsela!
E come si fa?
Agendo bene, con rettitudine e avendo sempre quella comprensione e quel rispetto per gli altri anche se delle volte non se lo meritano. Anche se una persona non se lo merita e le viene anche di darle una bastonata – mettiamo così – se non gliela dai, vinci, sei vittoriosa. Se no, sei perdente! Però, non è una cosa facile. Tanti non danno importanza alla meditazione, ma noi si dovrebbe alla sera meditare le cose che abbiamo fatto nella giornata. Se c’è qualcosa da rimediare o anche da fare meglio. Però se ne parlassi ai giovani non saprebbero cosa vuol dire la meditazione. No una meditazione proprio, ma meditare un pochettino, un attimo per dire “ma oggi ho trattato male questo, quell’altro”, fare una riflessione non è male. Perché a un certo momento questa riflessione che fai, muove la buona volontà di fare del bene, di migliorare. E la vita migliora.