Non è un segreto che Firenze sia una città piena di misticismo con innumerevoli chiese, templi e monasteri. Una di queste destinazioni è il Cenacolo di San Salvi, monastero fondato nel 1048, quando San Giangualberto, dell’ordine dei monaci benedettini vallombrosani, lo dedicò a San Michele in San Salvi.
L’Abbazia fu ampliata e restaurata all’inizio del XVI secolo, sotto la direzione di Biagio Milanesi e successivamente dell’abate Ilario Panichi. Il grandioso progetto di ampliamento prevedeva la realizzazione del portico sud della loggia, della cucina, del gabinetto e del refettorio, dove nel 1511 Andrea del Sarto eseguì l’affresco con l’Ultima Cena, completato nel 1526.
L’artista si è ispirato all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci per realizzare l’opera in cui cattura gli apostoli quando ricevono l’annuncio del tradimento di Gesù. In alto, una pittoresca aggiunta del pittore: lo scorcio di un balcone dove due personaggi, circondati dalla luce del tramonto, guardano proprio l’Ultima Cena.
I colori sono vivi e accesi con insoliti effetti cangianti che ricordano la seta Shantung: viola, arancio, turchese e verde nei morbidi abiti di Giuda. L’uso sapiente di luci e ombre dona ai tessuti l’idea del movimento e aggiunge plasticità ad ogni figura.
La bellezza contro la distruzione
L’opera suscitò scalpore sin dalla sua inaugurazione e diede origine alla leggenda narrata da Benedetto Varchi, secondo la quale le forze imperiali circostanti dell’imperatore Carlo V furono talmente affascinate dalla sua modernità e bellezza da preservarla intenzionalmente dalla distruzione.
Al 1511 risale la decorazione della parte inferiore della volta, per la quale alle grottesche collaborarono Andrea di Cosimo Feltrini e probabilmente il Franciabigio. Raffigura San Giovanni Gualberto, San Salvi, la Trinità (al centro), San Bernardino degli Uberti e San Benedetto.
Nel percorso museale svolto nelle stanze del convento, nel corridoio, nella cucina, nel bagno, nel refettorio sono esposti dipinti del XVI secolo, che documentano con ottimi esempi la pittura fiorentina dell’epoca. Tra queste opere di Pontormo, Franciabigio, Raffaellino del Garbo, Bachiacca, Carlo Portelli, Bernardino Poccetti, e un gruppo di dipinti di Plautilla Nelli (1524–1588) uno dei rari artisti citati da Giorgio Vasari nel libro Vite.